Cenni storici

Mikon (Μήκων), il Papaver somniferum, fiore del sonno, della morte e dell’oblio. Plinio attesta che l’utilizzo del latticello bianco, che fuoriesce incidendo la sua capsula, fosse già noto ai Greci che ne ricavavano oppio, in precedenza la cultura minoico micenea la riteneva strumento necessario per entrare in comunicazione con gli dei e per facilitare il viaggio dei defunti nell’aldilà. La Cina era famosa per le sue fumerie d’oppio nel XIX secolo, ma tante ne troviamo negli Stati Uniti e nella Londra di Dickens. Nella cultura mediterranea troviamo spesso raffigurato il frutto del papavero (Papaver somniferum L.) e quello del melograno soprattutto in contesti funerari. La loro iconografia è talmente simile da non poterli sempre distinguere con certezza e le loro caratteristiche in qualche modo si intrecciano.
Il papavero da oppio, diffusamente coltivato in Italia fino a dopo la guerra a scopi medicinali, appartiene ad una famiglia che comprende ben 55 specie, tra cui il Papaver rhoeas, detto rosolaccio o papavero comune che cresca abbondante nei campi di grano (se non trattati con diserbi selettivi). Pianta spontanea presente su tutto il territorio nazionale, è considerata una prelibatezza alimentare. A scopo culinario si utilizzano la rosetta basale, che ha un gusto più dolce e delicato di altre erbe spontanee, consumata solitamente come ingrediente nei ripieni o tipo spinacio e i semi nella panificazione.
Un tempo entrambe diffusi sul nostro territorio, ne conserviamo il ricordo di miti, leggende e usi popolari.

Il mito racconta

Il Papavero (Papaver rhoeas), sacro a Demetra, fiorisce da Maggio a Giugno, il tempo in cui la dea e la Terra che lei incarna (Dēmḗtēr, convenzionalmente la Madre Terra) sono al massimo del loro splendore. Nell’età dell’oro Demetra si adoperava affinché la Terra fosse sempre fertile e ricca di doni, accompagnata dalla figlia Kore (kòre, la fanciulla) erano dette anche “la spiga vecchia” e la “spiga giovane”. Idealmente parte di una trinità femminile insieme ad Ecate , sono legate al ciclo di morte e rinascita nei riti agresti. Una triade che non può che ricordarci la fiaba di Cappuccetto Rosso, nonna, madre e fanciulla (non bambina come da epurazioni successive) dove il ruolo del predatore archetipico era giocato da Ade (e proprio di bel balocco parleremo dopo). Kore sta giocando a raccogliere i fiori che, come dice Erika Maderna, costituiranno l’involontario bouquet delle sue nozze infere, si allontana dalla madre attirata da un fiore che non ha mai visto prima, un fiore creato apposta per lei da Ade stesso (Il tenebroso/l’oscuro/l’invisibile – colui che nasconde), si tratta del Narciso (nárkē, “sonno”, “torpore”).
Quando si ricongiungerà con la madre, tornando in superficie, dismetterà momentaneamente le vesti di Persefone, compagna di Ade e regina degli inferi, così da riunire insieme la “spiga vecchia” e la “spiga giovane” e colorare i campi dell’oro del grano e del rosso del papavero. Si, perché il papavero ama crescere tra le spighe dorate, tanti sono i semi contenuti nella sua capsula che sembrano gli abitanti di un villaggio, ecco perché simbolicamente vive in simbiosi con una delle più importanti colture per l’uomo. Semi che non a caso in molte cucine vengono utilizzati per decorare il pane.
Mia nonna, vissuta a cavallo tra le campagne di Reggio e Mantova, mi raccontava che da ragazzine prendevano i petali del papavero, li stropicciavano con le dita e con il succo rosso che macchiava un po’ le mani, si passavano le labbra a mo di rossetto e le gote, per renderle un po’ più rosse, segno di buona salute.Un piccolo vezzo a metà tra gioco e ingenua seduzione. Probabilmente aveva la stessa età di Kore quando venne rapita da Ade e trascinata nel regno dei morti, quell’età in cui non si è più né fanciulla né donna, l’età in cui il momento del passaggio, dell’attraversamento e del ratto sarebbe giunto presto.
A Pompei, nel Pantheon, si trova un’antica raffigurazione di una sacerdotessa che regge nella mano alcune spighe di grano e il papavero, nuovamente Demetra e Kore a ricordare come alla morte segue una rinascita, ad un occultamento segue sempre un ritorno. Kore rapita da Ade perché nel fiore degli anni, pronta a diventare donna, mangerà incautamente…

Curiosità e Folklore

Era abitudine un tempo rovesciare i petali del papavero, badando di non staccarli e creare una sorta di figura che ricordasse una piccola ballerina, con la capsula del papavero a formare il busto. Ma il papavero aveva anche una funzione oracolare: appoggiando un petalo tra il cerchio formato da indice e pollice, si provava con il palmo dell’altra mano a farlo scoppiare. Se il suono fosse stato nitido e chiaro, l’amore era saldo o corrisposto, diversamente la sorte non avrebbe arriso all’amante. Questo utilizzo è attestato anche nel mito che racconta la storia di Glauco, Scilla e Circe, dove la sfortunata Scilla subirà l’ira della potente maga innamorata di Glauco che però non la corrisponde, prediligendo la giovane ninfa che verrà poi trasformata nel mostro che conosciamo. Glauco, prima di rivolgersi a Circe affinché con le sue “erbe potenti” costringa Scilla ad amarlo, interroga il papavero, il cui responso però sarà negativo. “Fatum”, ciò che è detto agli dei e non può essere cambiato, il destino. E tragico fu il destino di Scilla e l’amore di Glauco.
Dalla parola fatum, il nostro Fata, colei che elargisce i doni destinati ai nascituri (si veda “la bella addormentata”).

Il sonno (Hypnos) e la morte (Tanathos) hanno un confine evanescente. Si compenetrano. Figli entrambi di Nyx, la Notte, nell’iconografia classica sovente vengono raffigurati adorni di papaveri.

Nei Misteri Eleusini era presente come pianta sacra a simboleggiare il sonno e l’oblio degli uomini in attesa di rinascere.
Nelle fiabe antiche addormentarsi è un po’ come morire e rinascere altro, implica sempre un cambiamento, un passaggio al mondo degli adulti o una nuova consapevolezza.

Fabio Bortesi

Fabio Bortesi

Fabio Bortesi proviene da una famiglia che da tre generazioni si occupa di piante officinali e piante alimurgiche (erbe spontanee commestibili). Ha cominciato a unici anni a seguire il nonno nella sua attività ambulante di erborista e ha ereditato intonsa la sua passione così come lui la ereditò dal padre. A questa professione, che è ormai uno stile di vita e un piacere e che continua nella gestione dell’azienda di famiglia Il Tarassaco, affianca l’attività di divulgatore.